domenica 25 novembre 2012

“Credo di una donna” (Robin Morgan) da Viola Tatham



“Credo di una donna” (Robin Morgan) 

 Noi, esseri umani e donne, sospese sull’orlo del nuovo millennio. 
Noi siamo la maggioranza della specie, ma abbiamo abitato nell’ombra. 
Noi le invisibili, le analfabete, le sfruttate, le profughe, le povere.
 E noi votiamo: mai più.
 Noi siamo le donne affamate – di riso, casa, libertà, delle altre, di noi stesse.
 Noi siamo le donne assetate – di acqua limpida e risate, di letture, d’amore.
 Noi siamo esistite in tutti i tempi, in ogni società. 
 Siamo sopravvissute al nostro sterminio. 
Ci siamo ribellate – e abbiamo lasciato dei segni. 
 Noi siamo la continuità, intessiamo il futuro col passato, la logica con la poesia.
 Noi siamo le donne che tengono duro e gridano Sì.
 Noi siamo le donne dalle ossa, voci, menti, cuori spezzati – eppure siamo le donne che osano sussurrare No. 
 Noi siamo le donne la cui anima nessuna gabbia fondamentalista può contenere. 
 Noi siamo le donne che rifiutano di permettere che si semini morte nei nostri giardini, nell’aria, nei fiumi, nei mari. 
 Noi siamo, tutte e ciascuna, preziose, uniche, necessarie. 
Noi fatte più forti, benedette, sollevate perché non uguali.
 Noi siamo le figlie del desiderio. 
Noi siamo le madri che daranno alla luce la politica del XXI secolo. 
 Noi siamo le donne da cui gli uomini ci hanno messo in guardia.
 Noi siamo le donne che sanno che tutte le questioni ci riguardano, che reclamano il loro sapere, reinventeranno il loro domani, discuteranno e ridefiniranno ogni cosa, incluso il potere. 
 Sono decenni ormai che lavoriamo a dar nome ai dettagli del nostro bisogno, rabbia, speranza, visione. Abbiamo rotto il nostro silenzio, esaurito la nostra pazienza. 
Siamo stanche di enumerare le nostre sofferenze – per intrattenere o essere semplicemente ignorate. 
Ne abbiamo abbastanza di parole vaghe e attese concrete; abbiamo fame d’azione, dignità, gioia.
 Intendiamo fare di meglio che resistere e sopravvivere. 
 Hanno tentato di negarci, definirci, piegarci, denunciarci; ci hanno messe in prigione, ridotte in schiavitù, esiliate, stuprate, picchiate, bruciate, asfissiate, seppellite – e ci hanno annoiate.
 Ma niente, neppure l’offerta di salvare il loro agonizzante sistema, ci può trattenere. 
 Per migliaia di anni le donne hanno avuto responsabilità senza potere, mentre gli uomini avevano potere senza responsabilità.
 Agli uomini che accettano il rischio di esserci fratelli offriamo un equilibrio, un futuro, una mano. 
Ma con loro o senza di loro, noi andremo avanti. 
 Perché noi siamo le Antiche, l’Essere Nuovo, le Native venute per prime e rimaste, indigene come nessuno. Siamo la bambina dello Zambia, la nonna della Birmania, le donne del Salvador e dell’Afghanistan, della Finlandia e di Fiji.
 Siamo canto di balena e foresta pluviale; l’onda sommersa del mare che monta, immensa, a spezzare in mille frammenti il vetro del potere. 
Siamo le perdute e le disprezzate che, piangendo, avanzano nella luce. 
 Questo noi siamo. 
Siamo intensità e energia. 
Siamo i popoli del mondo che parlano – che non aspetteranno più e non possono essere fermati. 
 Siamo sospese sull’orlo del millennio: alle spalle la rovina, davanti nessuna mappa, il sapore della paura acuto sulle nostre lingue.
 Eppure faremo il salto.
 L’esercizio dell’immaginazione è un atto di creazione.
 L’atto di creazione è un esercizio della volontà.
 Tutto questo è politica.
 E’ possibile.
 Pane. 
Un cielo pulito. 
Pace vera. 
La voce di una donna che canta chissà dove, melodia che spira come fumo dai falò campestri. 
Congedato l’esercito, abbondante il raccolto. 
Rimarginata la ferita, voluto il bambino, liberato il prigioniero, onorata l’integrità del corpo, ricambiato l’amante.
 Magico talento di trasformare i segni in significato. 
Uguale, giusto e riconosciuto il lavoro. 
Piacere nella sfida che porta, concordi, a risolvere i problemi. 
La mano che si alza solo nel saluto. Interni – dei cuori, delle case, dei paesi – così solidi e sicuri da rendere finalmente superflua la sicurezza dei confini.
 E ovunque risate, sollecitudine, festa, danze, contentezza. 
Un paradiso umile, terrestre, ora.
 Noi lo renderemo reale, nostro, disponibile. 
Noi disegneremo la politica, la storia, la pace. 
Il miracolo è pronto. 
 Credeteci. 
 Siamo le donne che trasformeranno il mondo.